mercoledì 20 marzo 2013

Sul conflitto

La fonte del conflitto (Jiddu Krishnamurti)

 

"Vi sono due tipi di apprendimento: uno consiste nel memorizzare ciò che viene imparato per poi osservare tramite la memoria - ed è questo che molti di noi chiamano apprendimento - e l'altro consiste nell'imparare attraverso l'osservazione, senza immagazzinarlo come ricordo. Per dirla in un altro modo: un modo di apprendimento è imparare qualcosa a memoria, in modo che rimanga immagazzinato nel cervello come conoscenza e successivamente agire secondo tale conoscenza abilmente o maldestramente; quando si frequenta la scuola e l'università, si accumulano molte informazioni, e in base a tale conoscenza si agisce in modo benefico per se stessi e per la società, ma si è incapaci di agire semplicemente, direttamente. L'altra specie di apprendimento - cui non si è altrettanto abituati, perché si è schiavi delle abitudini, delle tradizioni, di ogni conformismo - consiste nell'osservare senza l'accompagnamento della conoscenza pregressa, guardare qualcosa come se fosse la prima volta. Se uno osserva qualcosa in questo modo, non vi è la coltivazione della memoria; non è come quando uno osserva e tramite tale osservazione accumula il ricordo in modo che la prossima volta che l'osserva lo fa attraverso quello schema della memoria, e perciò non l'osserva più ex novo.

E' importante avere una mente che non sia costantemente occupata, costantemente intenta a chiacchierare. Per la mente non occupata, può germinare un nuovo seme, qualcosa d'interamente diverso dalla coltivazione della conoscenza e dall'azione basata su tale conoscenza.
Osservate i cieli, la bellezza delle montagne, gli alberi, la luce tra le fronde. Questa osservazione, immagazzinata nella memoria, impedirà che la prossima osservazione sia nuova. Quando uno osserva la moglie o un amico, può osservare senza l'interferenza della registrazione dei precedenti episodi di quel particolare rapporto? Se uno può osservare l'altro senza l'interferenza della conoscenza precedente, impara molto di più.

La cosa più importante è osservare: osservare e non avere una divisione tra l'osservatore e l'osservato. Generalmente vi è una divisione apparente tra l'osservatore, che è la somma totale dell'esperienza passata, in quanto memoria, e l'osservato ... così è il ,passato che osserva. La divisione tra osservatore e osservato è la fonte del conflitto.

E' possibile che non vi sia conflitto, in tutta una vita? Tradizionalmente, si accetta che debba esservi questo conflitto, questa lotta, questo dissidio perpetuo, non solo fisiologicamente, per sopravvivere, ma psicologicamente, tra desiderio e paura, simpatia e antipatia, e così via. Vivere senza conflitto è vivere una vita senza sforzo, una vita in cui vi è pace. L'uomo ha vissuto, per secoli e secoli, una vita di battaglia, di conflitti esteriori e interiori; una lotta costante per conseguire qualcosa, e la paura di perdere, di ricadere indietro. Si può parlare all'infinito di pace, ma non vi sarà pace finché si è condizionati ad accettare il conflitto. Se uno dice che è possibile vivere in pace, allora è soltanto un'idea, e perciò non ha valore. E se uno dice che non è possibile, allora blocca ogni indagine.
Esaminiamolo prima psicologicamente; è più importante che farlo fisiologicamente. Se uno comprende in profondità la natura e la struttura del conflitto, psicologicamente, e magari vi pone fine, allora può essere in grado di affrontare il fattore fisiologico. Ma se uno s'interessa solo del fattore fisiologico, biologico, per sopravvivere, allora probabilmente non ci riuscirà.

Perché vi è questo conflitto, psicologicamente? Fin dai tempi più antichi, socialmente e religiosamente, c'è sempre stata una divisione tra il bene e il male. Questa divisione esiste realmente, oppure c'è soltanto ciò che è " senza il suo contrario? Supponiamo che via sia collera questo è un fatto, " ciò che è "; ma " io non andrò in collera " è un idea, non è un fatto.
Uno non discute mai tale divisione, l'accatta perché è tradizionalista per abitudine, e non vuol saperne di qualcosa di nuovo. Ma c'è un altro fattore: c'è una divisione tra l'osservatore e l'osservato. Quando uno guarda una montagna, la guarda come osservatore e la chiama montagna. La parola non è la cosa. La parola " montagna " non è la montagna, ma per l'interessato la parola è molto importante: quando guarda, vi è istantaneamente la risposta " quella è una montagna ". Ora, uno può guardare la cosa chiamata " montagna" senza la parola, perché la parola è un fattore di divisione? Quando uno dice " mia moglie ", la parola " mia " crea divisione. La parola, il nome, la parte del pensiero. Quando uno guarda un uomo o una donna, una montagna o un albero, qualunque cosa sia, si opera una divisione quando il pensiero, il nome, il ricordo vengono posti in essere.

Uno può osservare senza l'osservatore, che è l'essenza di tutti i ricordi, le esperienze, le reazioni e così via, tutti provenienti dal passato? Se uno guarda qualcosa senza la parola e i ricordi del passato, allora osserva senza l'osservatore. Quando uno fa ciò, vi è solo l'osservato, e non vi è divisione né conflitto, psicologicamente. Uno può guardare la propria moglie o il proprio amico più intimo senza il nome, la parola e tutta l'esperienza accumulata" in quel rapporto? Quando guarda così, guarda l'altro - o l'altra - per la prima volta.
E' possibile vivere una vita completamente libera da ogni conflitto psicologico? Uno ha osservato il fatto: basterà, se lascia stare il fatto. Finché vi è divisione tra l'osservatore che crea le immagini, e il fatto - che non è immagine ma soltanto fatto - deve esserci conflitto perpetuo. E' una legge. Ma si può porre fine al conflitto.

Quando vi è la fine del conflitto psicologico - che è parte della sofferenza - allora, in che modo influisce sulla vita, sui rapporti con gli altri? In che modo la fine della lotta psicologica, con tutti i suoi conflitti, il suo dolore, le sue ansie, le sue paure, in che modo si riferisce alla vita quotidiana, al lavoro d'ufficio, eccetera eccetera? Se è un fatto che uno ha posto fine al conflitto psicologico, allora come vivrà una vita senza conflitti esteriori? Quando non vi è conflitto interiore, non vi è conflitto all'esterno, perché "non vi è divisione" tra l'interiore e l'esteriore. E come il flusso e il riflusso del mare. E' un fatto assoluto, irrevocabile, che nessuno può toccare; è inviolato. Quindi, se è così, cosa farà uno per guadagnarsi da vivere? Poiché non Vi è conflitto, non vi è ambizione. Poiché interiormente vi è qualcosa di assoluto che è inviolato, che non può essere toccato né danneggiato, allora uno non dipende psicologicamente da un altro; perciò non vi è conformismo né imitazione. Quindi, non avendo tutto questo, uno non è più pesantemente condizionato dal successo e dall'insuccesso nel mondo del denaro, della posizione, del prestigio, che implica la negazione di "ciò che è " e l'accettazione di " ciò che dovrebbe essere ".

Poiché uno nega " ciò che è " e crea l'ideale di " ciò che dovrebbe essere ", vi è conflitto. Ma osservare ciò che è effettivamente significa che uno non ha contrario, solo " ciò che è ". Se osservate la violenza e usate la parola " violenza ", c'è già conflitto, la parola stessa è già distorta; vi sono persone che approvano la violenza e altre che non l'approvano. L'intera filosofia della non violenza è distorta, politicamente e religiosamente. C'è la violenza e il suo contrario, la non violenza. Il contrario esiste perché voi conoscete la violenza. Il contrario ha radice nella violenza. Uno pensa che, avendo un contrario, con qualche metodo o mezzo straordinario, si sbarazzerà di " ciò che è ".

Ora, si può accantonare il contrario e guardare semplicemente la violenza, il fatto? La non violenza non è un fatto. La non violenza è un'idea, un concetto, una conclusione. Il fatto è la violenza: uno è in collera, odia qualcuno, vuol far male alla gente, è geloso: tutto questo è l'implicazione della violenza, che è il fatto. Ora, si può osservare il fatto senza introdurre il suo contrario? Perché allora uno ha l'energia - che prima veniva sprecata cercando di realizzare il contrario - per osservare " ciò che è ". In quell'osservazione non c'è conflitto.

Perciò, cosa farà un uomo che ha compreso questa esistenza straordinaria e complessa basata sulla violenza, il conflitto e la lotta, un uomo che ne è effettivamente libero, non teoricamente, ma effettivamente libero? Il che significa assenza di conflitto. Che cosa farà al mondo? Formulerà questa domanda, se è interiormente, psicologicamente, interamente libero da conflitti? Ovviamente no. Solo l'uomo in conflitto dice: " Se non vi è conflitto, sarò alla fine, verrò annientato dalla società perché la società è basata sul conflitto".

Se uno è consapevole della propria coscienza, che cos'è? Se è consapevole, vedrà che la sua coscienza è - in senso assoluto - nel disordine totale. E contraddittorio dire una cosa, fare qualcosa d'altro, cercando sempre qualcosa. Il movimento totale è entro un'area limitata e priva di spazio, e in quel poco spazio c'è disordine.

Uno è diverso dalla propria coscienza? Oppure è quella coscienza? quella coscienza. Allora, è consapevole di trovarsi nel disordine totale? Alla fine, quel disordine porta alla nevrosi, ovviamente: perciò ci sono tutti gli specialisti della società moderna, gli psicoanalisti, gli psicoterapeuti e così via. Ma interiormente c'è ordine? Oppure c'è disordine? Uno può osservare questo fatto? E cosa avviene quando uno osserva senza scegliere... cioè senza distorsioni? Dove c'è disordine, deve esserci conflitto. Dove c'è ordine assoluto, non c'è conflitto. E c'è un ordine assoluto, non relativo. Ciò può avvenire in modo naturale e facile, senza conflitto, solo quando uno è consapevole di se stesso quale coscienza, consapevole della confusione, del tumulto, delle contraddizioni, osservando esteriormente senza distorsione. Allora da questo deriva naturalmente, dolcemente, facilmente, un ordine irrevocabile".

mercoledì 13 marzo 2013

Sul meditare e sulla meditazione


Jiddu Krishnamurti
"...sul meditare e la
  meditazione ..."

"...se hai intenzione di meditare, non sarà meditazione ... se assumi deliberatamente un atteggiamento, una posizione, per meditare, allora la meditazione diventa un giocattolo, un trastullo della mente. Se decidi di districarti dalla confusione e dall'infelicità della vita, allora diventa un'esperienza dell'immaginazione — e questa non è meditazione. La mente conscia o la mente inconscia non debbono aver parte in essa; non devono neppure essere consapevoli dell'estensione e della bellezza della meditazione. Nella totale attenzione della meditazione non c'è alcuna conoscenza, alcun riconoscimento, né il ricordo di qualcosa che sia già avvenuta. Il tempo e il pensiero sono totalmente cessati, poiché sono il centro che limita la propria visione ... la meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e beatitudini ... La meditazione non è fuga dal mondo; non è un isolarsi e chiudersi in sé, ma piuttosto la comprensione del mondo e delle sue vie ... Meditare è deviare da questo mondo ... Dalla negazione nasce lo stato affermativo. Il semplice ottenere l'esperienza, o vivere nell'esperienza, nega la purezza della meditazione. La meditazione non è un mezzo per un fine ... La meditazione è la cessazione del pensiero ... Tutto ciò che il pensiero formula ha in sé il limite dei suoi confini, il pensiero ha sempre un orizzonte, la mente meditativa non ne ha, l'uno deve cessare perché l'altro possa essere. La meditazione apre la porta ad una vastità che trascende ogni immaginazione o congettura. Il pensiero è il centro intorno al quale c'è lo spazio dell'idea, e questo spazio può essere allargato da ulteriori idee. Ma tale allargamento mediante stimoli di ogni sorta non è la vastità in cui non c'è alcun centro. La meditazione è la comprensione di questo centro e quindi il suo superamento. Il silenzio e la vastità vanno insieme. L'immensità del silenzio è l'immensità della mente in cui non esiste un centro. La percezione di questo spazio-silenzio non procede dal pensiero. Il pensiero percepisce soltanto la sua proiezione, e il riconoscimento di essa è il suo confine ... La meditazione non è un'attività dell''isolamento, ma l'azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità ed intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la meditazione diventa una fuga e non ha alcun valore. Una vita retta non è l'obbedienza alla morale sociale, ma la libertà dall'invidia, dalla cupidigia e dalla ricerca del potere — che generano inimicizia. La libertà da questi mali non passa attraverso la consapevolezza che di essi si acquista mediante l'autoconoscenza. Senza conoscere le attività del sé la meditazione diviene esaltazione dei sensi e perde ogni significato ... La meditazione non è una continuazione o una espansione dell'esperienza. La meditazione, al contrario, è quella completa inazione che è la cessazione di tutta l'esperienza. L'azione dell'esperienza ha le sue radici nel passato ... la meditazione è lo svuotarsi dell'esperienza, è la totale inazione che proviene dalla mente che vede ciò che è, senza l'ostacolo del passato né del testimone che vive legato alla memoria del passato ... Se non c'è meditazione, sei come un cieco in un mondo di grande bellezza, luci e colori ... Meditare non è ripetere parole, sperimentare visioni o coltivare il silenzio. Questa è una forma di autoipnosi. Meditare non è chiudersi in un pensiero ideale, nell'incanto del piacere. Se tu dici: "Oggi comincerò a controllare i miei pensieri, a sedere quieto nella posizione del meditare, a respirare regolarmente" — allora sei preso nei trucchi con cui inganniamo noi stessi. La meditazione non è l'essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa ... La mente meditativa è vedere, osservare, ascoltare senza la parola, senza commento, senza opinione — attentamente e costantemente — il movimento della vita in ogni suo rapporto; allora sopraggiunge un silenzio che è negazione del pensiero, un silenzio che l'osservatore non può richiamare. Se ne facesse esperienza, riconoscendolo, non sarebbe quel silenzio. Il silenzio della mente meditativa non è nei confini dell'individuabilità, e non ha frontiere ... Una piccola mente squallida e immatura può avere, ed ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento ... La meditazione non appartiene a gente come questa, né ai guru. Non è per il cercatore, perché costui trova ciò che vuole, e il conforto che ne deriva è la morale delle sue paure. Per quanto faccia, l'uomo di credenza o di dogma non può entrare nel regno della meditazione. La meditazione necessita della libertà — che è totale negazione della morale e dei condizionamenti sociali — la libertà viene prima della meditazione, ne rappresenta il primo movimento. Non è una pratica pubblica dove in molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa struttura del pensiero è la realtà della meditazione. La meditazione è un movimento incessante. Non si può mai dire che si sta meditando, o dedicare un periodo di tempo alla meditazione. La meditazione non è ai tuoi ordini. La sua benedizione non ti viene perché conduci una vita per così dire sistematizzata o segui una particolare routine o morale. Viene solo quando il tuo cuore è veramente aperto. Non aperto dalla chiave del pensiero, non reso sicuro dall'intelletto, ma quando è aperto come il cielo senza nuvole; allora viene senza che tu lo sappia, senza che tu la chiami. Ma non puoi mai custodirla, possederla, adorarla. Se cercherai di farlo, non verrà più, ti eviterà. Nella meditazione tu non sei importante, non occupi un posto; la sua bellezza non sei tu, la sua bellezza è in sé. E non puoi aggiungervi nulla. Non devi spiare dalla finestra sperando di prenderla di sorpresa, né sederti in una stanza buia ed attenderla; viene soltanto quando tu non sei là, e la sua benedizione non ha continuità..."