lunedì 2 dicembre 2013

Intervista a Paolo

Cliccando qui sotto potete vedere l'intervista che Paolo, il nostro counselor ha rilasciato a Cagliari Pad in occasione del suo Abbey Programme in Sardegna


venerdì 11 ottobre 2013

La bellezza della vita


Ringrazio Chiara del Gruppo di Meditazione del Martedi per la segnalazione di questo bellissimo video

giovedì 26 settembre 2013

Storie di uomini e leoni

L'amore e l'amicizia vera durano per sempre!


Storie vere che fanno bene all'anima e al cuore...

venerdì 13 settembre 2013

un saluto da Santiago



Nei giorni scorsi Arianna e Stefania, dopo un lungo cammino fisico, spirituale e interiore hanno raggiunto Santiago de Compostela. 
Arianna e Stefania, oltre ad essere care amiche sono assidue frequentatrici del corso di Meditazione che Paolo tiene nel mio studio ogni mese.
La foto è del momento del loro arrivo e se clicchi qui puoi trovare quanto ha dedicato a loro Paolo sul suo blog


martedì 2 luglio 2013

La rana e lo scorpione

"Una rana stava serenamente sguazzando in un fiume quando ad una sponda si avvicinò uno scorpione. "Devo passare dall'altra parte" disse "ma non so come fare, io non so nuotare e se provo affogherò. Tu potresti aiutarmi trasportandomi sul tuo dorso, te ne sarei molto grato". La rana perplessa rispose: "Ma se io ti lascio salire sul mio dorso tu potresti pungermi ed uccidermi!". Lo scorpione rassicurò la rana: "Non ti preoccupare, perchè dovrei farlo, se ti pungessi morirei anch'io perchè affogheremmo entrambi nel fondo". La rana si sentì rassicurata dalle spiegazioni dello scorpione e lo fece salire. Quando furono a metà del fiume, lo scorpione punse la rana. La rana stupita dal gesto dello scorpione mentre stava affondando insieme a lui trovò la forza di chiedergli: "Ma perchè l'hai fatto adesso moriremo entrambi?" Lo scorpione rispose "Non ho potuto farne a meno, questa è la mia natura"

(Esopo)

giovedì 13 giugno 2013

Lo specchio nella cassapanca

Di ritorno da un pellegrinaggio, un uomo acquista in città uno specchio, oggetto a lui ignoto. Crede di riconoscere nello specchio il volto del padre e, al colmo della gioia, lo porta con sé.

A casa, lo ripone in una cassapanca, non ne fa parola con la moglie e, di tanto in tanto, quando si sente triste e solo, va «a trovare suo padre». E dopo, ogni volta, la moglie nota in lui un’aria strana. 

Così lo spia, e un giorno lo vede aprire la cassapanca e restarvi chino a lungo. Attende che il marito si sia allontanato, quindi apre a sua volta la cassapanca e vi scorge una donna. S’infiamma di gelosia e inveisce contro il marito. 

Gran diverbio in famiglia! Fortunatamente passa una monaca. Volendo rappacificare i due coniugi, si fa mostrare la cassapanca, oggetto del litigio. 

Nel ridiscendere dichiara: «La cassapanca non contiene né uomo né donna: c’è soltanto una monaca!».

Storia zen

lunedì 3 giugno 2013

Il pensiero positivo


Ci è stato insegnato a considerare noi stessi come dei contenitori vuoti, che hanno bisogno di essere gradatamente riempiti. A questo pensano la religione, l'educazione e i tanti condizionamenti che riceviamo in continuazione dalla società e, in generale, dall'ambiente che ci circonda. «Non far questo perché è peccato». «Non dire quello perché non sta bene». «Non fare quell'altro perché è sconveniente».

Quante proibizioni riceviamo fin dall'infanzia! E quante ingiunzioni a fare invece tante altre cose, soltanto perché la morale comune, la moda, l'etichetta, gli usi e costumi richiedono quel determinato comportamento. Siamo come ingabbiati, imprigionati in una rete di "fare" e "non fare", "dire" e "non dire", perfino "pensare" e "non pensare".

Questa rete è stata costruita da altri esseri umani che si sono arrogati il diritto di decidere, stabilire certe norme e sono stati poi così in gamba da farsi ubbidire un po' da tutti. Così sono nate le consuetudini di vita comune, sia a livello fisico che psicologico e perfino spirituale. Siamo in prigione e ci siamo ormai abituati così bene al nostro stato di prigionieri che non pensiamo neppure alla possibilità di essere liberi padroni di noi stessi e delle nostre scelte.

Tratto da "Il Pensiero Positivo" -- di Anthony De Mello

giovedì 23 maggio 2013

Lo sport terapia

LE «PRESCRIZIONI» VANNO PERSONALIZZATE IN BASE AD ETÀ E PATOLOGIE

Il movimento è una cura
che richiede tempi e dosaggi giusti

L'attività fisica è ormai considerata una vera terapia che accompagna e sostiene gli altri trattamenti

MILANO - Fare sport perché è divertente, per mantenersi in forma o dimagrire, per prevenire le malattie. Oppure per curarsi, scegliendo di nuotare, correre o allenarsi in palestra. L'attività fisica è sempre più considerata un vero farmaco, e i medici la prescrivono spesso come parte integrante della terapia (GUARDA): se ne è parlato in un convegno dedicato all'argomento nell'ambito di Rimini Wellness, la più grande manifestazione italiana dedicata al fitness.
I RISCHI - «Lo sport è una medicina da assumere con dosaggi precisi perché farne poco non serve a molto, ma esagerare può dare effetti collaterali - spiega Gianfranco Beltrami, docente del corso di laurea in Scienze motorie dell'Università di Parma e membro del consiglio direttivo della Federazione Medico Sportiva Italiana (Fmsi) -. Le conseguenze di un sovradosaggio vengono pagate di solito dall'apparato muscolo-scheletrico: caviglie, ginocchia, anche, spalle possono risentire di sovraccarichi eccessivi e risultarne danneggiate. Perciò la prima regola è individualizzare la terapia a base di sport, prescrivendo prima un lavoro leggero e poi, man mano che il paziente è più allenato, incrementando i carichi e gli sforzi». Chi dovrebbe scrivere la "ricetta" dell'attività fisica? «In chi non è del tutto sano non si può improvvisare - risponde Beltrami -. Se c'è una malattia cronica in corso, la scelta migliore è avvalersi di uno specialista in medicina dello sport, che dovrebbe poi affidare il paziente a un laureato in scienze motorie preparato per seguirlo e far sì che l'esercizio prescelto venga praticato nel modo giusto».
SPORT GIUSTO - Nel nostro Paese non c'è ancora la consapevolezza della necessità di affidarsi a un esperto per scegliere lo sport giusto, ancora meno ci si rivolge al personal trainer come "coach di salute". Questo accade soprattutto perché anche se tutti, ormai, sappiamo che con l'attività fisica si prevengono le malattie e che la sedentarietà fa male (diversi studi ad esempio hanno sottolineato che stare seduti troppo a lungo aumenta la mortalità per malattie cardiovascolari e non solo), pochi però hanno davvero capito che lo sport è una terapia vera e propria, da seguire per stare meglio se si soffre di patologie croniche perfino serie. L'elenco delle malattie "curabili" con il movimento è lungo: «Il caso più eclatante è l'infarto, perché fino a vent'anni fa chi ne era colpito stava un mese a letto e anche dopo poteva fare movimento solo fra mille precauzioni: oggi facciamo salire su una bicicletta i nostri pazienti pochissimi giorni dopo l'attacco di cuore - fa notare Beltrami, che è anche specialista in cardiologia -. Naturalmente servono visite mediche e test accurati, per capire il livello di attività sostenibile da una persona che ha avuto un infarto: la prescrizione non sarà la stessa per un cinquantenne o un settantenne, ma in generale si devono sempre inserire una parte di lavoro aerobico, una parte di tonificazione, esercizi di allungamento e per favorire l'equilibrio. Le dosi di ciascuna fase della sport-terapia variano a seconda delle caratteristiche del paziente e della patologia di cui soffre».
PATOLOGIE - Così per le malattie cardiovascolari come lo scompenso cardiaco, l'infarto o l'ipertensione si prediligono sport aerobici: nuoto, corsa, marcia e bicicletta possono essere ideali, nei "dosaggi" indicati dal medico, per migliorare le condizioni di cuore e vasi. L'ipertensione, ad esempio, è una malattia che si cura molto bene con lo sport: alcune evidenze indicano che è possibile ridurre la pressione anche di 10 mm Hg praticando regolarmente un'attività fisica, in media attraverso sessioni di allenamento di un'ora per tre volte alla settimana. L'esercizio aerobico è quel che ci vuole anche per chi è obeso o soffre di patologie del metabolismo, dalle iperlipidemie al diabete: in quest'ultimo caso il medico ricorda che è sempre opportuno fare esercizio monitorando la glicemia per evitare di andare in crisi ipoglicemica. Per i diabetici di tipo 2, che sono in genere persone più attempate, sedentarie e con qualche problema di chili di troppo, lo sport aerobico è un grande alleato, perché allena il cuore e tiene sotto controllo il peso: sì quindi a nuoto, corsa, bicicletta, ginnastica, sci di fondo, danza da praticare per 30-60 minuti 3 o 4 volte alla settimana. Meglio evitare invece sport esclusivamente anaerobici, come il sollevamento pesi o attività troppo intense, che possano ridurre drasticamente la glicemia.
MAL DI TESTA - «Del tutto diverse invece le raccomandazioni per chi soffre di osteoporosi - interviene lo specialista -. In questo caso l'attività fisica serve perché favorisce la deposizione di osso rinforzando lo scheletro, ma il nuoto ad esempio non aiuta: occorre dedicarsi soprattutto alla tonificazione muscolare, il lavoro in palestra con carichi leggeri può essere ideale». Anche chi soffre di mal di testa può giovarsi dell'attività fisica: poiché la maggior parte delle cefalee è muscolo-tensiva, dovuta cioè alla contrazione eccessiva dei muscoli del collo e delle spalle per colpa dello stress o di posture sbagliate, una ginnastica adeguata che aiuti a rilassare e sciogliere queste zone (ad esempio yoga o arti marziali) funziona da vero antidolorifico. C'è uno sport giusto anche per chi soffre di depressione o ansia: il lavoro aerobico, magari in gruppo (come pallavolo, calcio, basket, ma anche la danza), è utilissimo per regalare una buona dose di benessere. «Con l'esercizio fisico, nel cervello si producono endorfine che sono potenti antidepressivi naturali - spiega Beltrami -. Numerosi studi dimostrano che in diversi casi, tramite un buon programma di attività fisica, si riesce a stare bene senza prendere medicinali. Anche in caso di malattie respiratorie l'esercizio non deve essere escluso, anzi: una buona ginnastica respiratoria, che aiuti a espandere la gabbia toracica, associata a un'attività aerobica, può migliorare la funzionalità polmonare di chi soffre di enfisema o asma. Lo sport è utile pure nei pazienti con un tumore: sono ormai innumerevoli i dati che dimostrano come il movimento possa prevenire le ricadute dopo un cancro al colon, al seno, al polmone, alla prostata».
COSTANZA - Non ci sono controindicazioni per nessuno? «Lo sport è vietato quando la malattia è di grado severo: se c'è un grave scompenso, se un tumore è in una fase di terapia difficile. Ma l'attività fisica fa bene quasi sempre: l'importante, se si soffre di una qualsiasi patologia cronica, è non improvvisare, ma farsi prescrivere l’attività fisica da un medico e praticarla secondo le sue indicazioni - risponde lo specialista -. Come per le terapie a base di farmaci, il vero problema dello sport come medicina è l'aderenza alla cura da parte del paziente: perché funzioni davvero l'attività fisica deve essere praticata in modo costante e regolare, con sedute di durata prefissata dal medico e una cadenza come minimo bi- o trisettimanale. Fare sport una volta alla settimana serve a poco o nulla. Se però riusciamo a convincere i pazienti ad allenarsi almeno per un po' con assiduità i risultati si fanno vedere ed è più probabile che poi si perseveri nell'esercizio: il benessere che i pazienti provano è indiscutibile, per cui continuano e sono entusiasti» conclude Beltrami.

giovedì 16 maggio 2013

il momento del relax


come sempre un po' di buona musica per augurarvi un week end di quiete e pace

lunedì 6 maggio 2013

LE LENZUOLA SPORCHE...



Una giovane coppia di sposi novelli
andó ad abitare in una zona
molto tranquilla della città.
Una mattina, mentre bevevano il caffé,
la moglie si accorse, guardando attraverso la finestra,
che una vicina stendeva il bucato sullo stendibiancheria.
Guarda che sporche le lenzuola di quella vicina!
Forse ha bisogno di un altro tipo di detersivo...
Magari un giorno le farò vedere come si lavano le lenzuola!
Il marito guardò e rimase zitto.
La stessa scena e lo stesso commento
si ripeterono varie volte,
mentre la vicina stendeva il suo bucato al sole e al vento.
Dopo un mese, la donna si meravigliò
nel vedere che la vicina stendeva le sue lenzuola pulitissime,
e disse al marito:
Guarda, la nostra vicina ha imparato a fare il bucato!
Chi le avrà fatto vedere come si fa?
Il marito le rispose: Nessuno le ha fatto vedere;
semplicemente questa mattina,
io mi sono alzato più presto e, mentre tu ti truccavi,
ho pulito i vetri della nostra finestra !

Così è nella vita!
Tutto dipende dalla pulizia della finestra
attraverso cui osserviamo i fatti.
Prima di criticare,
probabilmente sarà necessario osservare
se abbiamo pulito a fondo il nostro cuore
per poter vedere meglio.
Allora vedremo più nitidamente la pulizia del cuore del vicino....

venerdì 26 aprile 2013

La «regolarità» si conquista facendo nove passi



Tutto ciò che si può fare per risolvere la stipsi, un problema molto frequente soprattutto (ma non solo) fra gli anziani

MILANO - La stitichezza è un problema comune fra chi non è più giovanissimo: le stime indicano che il 30-50 per cento degli over 65 fa uso di lassativi per porvi rimedio e fra chi ha più di 70 anni le difficoltà ad andare in bagno sono diffusissime. Come stare meglio? Le proposte arrivano da una revisione degli studi in materia, pubblicata sul Canadian Medical Association Journal secondo cui ci sono nove passi da fare per risolvere il disturbo. Innanzitutto, bisogna chiarire che si definisce stipsi cronica una situazione in cui si hanno meno di due evacuazioni a settimana per quindici giorni di seguito, soprattutto se si associano dolori, fastidio alla pancia, sensazione di non essersi svuotati completamente.
ANZIANI - Negli anziani è più comune perché sono più sedentari, di solito mangiano poche fibre, non bevono a sufficienza, non "ascoltano" lo stimolo ad andare in bagno o anche perché chi non è più giovane deve spesso assumere farmaci che possono favorire la costipazione, dagli oppioidi alle pastiglie per il ferro. «I sintomi possono avere un impatto forte sulla qualità di vita dell'anziano e perfino accelerarne il declino: la stitichezza può provocare dolore, nausea e perdita di appetito e questo può essere molto pericoloso soprattutto in soggetti fragili», come ha spiegato Dov Gandell, il responsabile della revisione. Ed ecco i nove passaggi per la gestione della stipsi in chi non è più giovane, suggeriti dall’esperto: il primo è una corretta valutazione dei sintomi; quindi (secondo passo) occorre andare alla ricerca delle possibili cause, dall'uso di farmaci specifici alla presenza di patologie che favoriscano la costipazione. Una volta certi che davvero di stitichezza si tratta (molti credono ci sia bisogno di intervenire con i lassativi se l'anziano non va in bagno tutti i giorni, ma l'evacuazione quotidiana non è indispensabile), e verificato che non ci sia un'occlusione intestinale, bisogna cambiare (almeno un po’) stile di vita.
MOVIMENTO - In primo luogo, si deve cercare di ridurre la sedentarietà ( terzo passo), dedicandosi a un esercizio fisico adeguato alle proprie condizioni; quindi, (quarto passo) occorre assicurarsi un adeguato comfort quando si va in bagno, ad esempio facendo sì che il water sia alla giusta altezza e che si possa avere la necessaria privacy ma al contempo chiamare aiuto in caso di bisogno. Poi (quinto) va rivista la dieta: si devono introdurre fibre a sufficienza attraverso cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, scegliendo spesso i legumi e consumando anche pane e pasta, meglio ancora se integrali; tè e caffè andrebbero ridotti, aumentando invece fino a sei-otto bicchieri al giorno l'apporto di acqua per mantenere le feci morbide. Qualche trucco (sesto passo) può aiutare, ad esempio è bene andare in bagno a orari fissi o preferendo farlo dopo i pasti, quando il riflesso gastro-colico dovuto al riempimento dello stomaco stimola l'evacuazione.
FARMACI - Se tutto questo non basta, si può provare (settimo passo) con i lassativi: i più efficaci e sicuri negli anziani, stando alla revisione, sono gli agenti osmotici che richiamano acqua nell'intestino, come polietilenglicole o lattulosio. Meno evidenze sono invece disponibili per fibre vegetali come lo psyllium, mentre i lassativi stimolanti, come senna e cascara, sarebbero validi ma perderebbero efficacia nel tempo. In generale però (ottavo passo) si dovrebbe procedere per gradi: prima si comincia con i lassativi formanti massa come lo psyllium, se non vengono tollerati o non hanno effetti apprezzabili si passa a lassativi osmotici o stimolanti per brevi periodi (tre, quattro giorni al massimo). Se anche questi non funzionano a dovere, l'ultimo passo è rivolgersi a uno specialista gastroenterologo o geriatra per individuare l'approccio più corretto nel singolo caso.

giovedì 11 aprile 2013

Un'ora di danza alla settimana migliora la postura e l'attività cognitiva degli anziani

MILANO - Un’ora di danza la settimana per 6 mesi migliora la postura, le performance sensitivo-motorie e quelle cognitive degli anziani senza creare problemi per il loro sistema cardio-polmonare: lo dimostra uno studio pubblicato su Frontiers in Aging Neurosciences dalla Texas University di Houston.
DUE GRUPPI - I ricercatori americani hanno messo a confronto due gruppi di ultra-70enni nei quali è stato effettuata una valutazione basale delle funzioni cognitive, del QI, del livello di attenzione, del tempo di reazione, delle funzioni motorie, di quelle tattili e dell’equilibrio posturale, così come della sensazione soggettiva di benessere e della funzionalità cardio-polmonare. I partecipanti, scelti in maniera da essere omogenei e con nessuno particolarmente dotato dal punto di vista psicomotorio, sono stati divisi a caso in 2 gruppi: il primo era quello dei “ballerini”, mentre il secondo non ballava. Dopo 6 mesi, senza che nei ballerini si fosse registrato alcun problema di funzionalità cardio-polmonare, i parametri cognitivi e sensitivo-motori erano tutti migliorati, soprattutto in chi alla valutazione basale aveva ottenuto i punteggi più bassi.
IL BALLO AIUTA LA MENTE - I miglioramenti più evidenti riguardavano memoria, abilità visuo-spaziale, linguaggio, attenzione, tempi di reazione, performance sensitivo-motorie, postura e stile di vita. Non è migliorata la capacità respiratoria aerobica massimale (il cosiddetto VO2max) che corrisponde al volume massimo di ossigeno che si può consumare per contrazione muscolare nell’unità di tempo, ma d’altronde anche negli allenamenti degli atleti ciò accade solo nel 20-30% dei casi. Nel gruppo di quelli che non ballavano, invece, nessun parametro è variato e alcuni sono peggiorati secondo il normale declino che accompagna l’avanzare degli anni.
INTEGRAZIONE CEREBRALE - Gli autori hanno concluso che moderati livelli di attività fisica associati a stimoli emotivi, sociali, cognitivi e a una forte componente sensitivo-motoria migliorano molti aspetti del declino correlato all’età. Ma perché proprio il ballo? La spiegazione risiederebbe nel fatto che la capacità di muoverci nello spazio tridimensionale è legata all’integrazione fra i circuiti visivi e i sistemi di orientamento con cui riusciamo a mantenerci alla giusta distanza da un certo punto di riferimento. Ciò attiva l’ippocampo e la corteccia entorinale, aree cerebrali che controllano la memoria spaziale il cui deterioramento è infatti uno dei primi segnali d’allarme di compromissione cognitiva e di potenziale demenza.
LO DICEVA ANCHE LEONARDO - Sulla medesima rivista compare un commento all’articolo del Professor Philip Foster del Dipartimento di Nanomedicina e Medicina Interna della stessa Università degli autori dello studio che inizia con una frase di Leonardo Da Vinci: «Il disuso arruginisce il ferro, l'acqua perde la sua purezza se ristagna o gela per il freddo e nondimeno fa l'inerzia sul vigore della mente». E in effetti il ballo vince ogni inerzia.

mercoledì 3 aprile 2013

facciamo più attenzione alle unghie


l'analisi della Weill Cornell University di New York

Facciamo più attenzione alle unghie

Non solo problemi estetici, ma anche malattie che non vanno sottovalutate: fondamentale l'esame con il dermatoscopio

MILANO - Un aspetto anomalo delle unghie può essere il segnale di diverse malattie, anche sistemiche, che però gran parte degli stessi specialisti spesso trascurano. La segnalazione viene da alcuni esperti della Weill Cornell University di New York.
TUMORE DELLE UNGHIE - Anche le unghie si possono ammalare ed eventuali anomalie non vanno considerate come un mero problema estetico. Per esempio, in questa sede si possono sviluppare melanomi che, però, sono spesso più difficili da riconoscere perché non presentano la classica pigmentazione scura. «In queste circostanze è facile confondere il melanoma con un’infezione o una lesione vascolare - fa notare Richard K. Scher, professore di dermatologia del Weill Cornell Medical College di New York -. Così non è raro che questo tipo di tumore venga diagnosticato con notevole ritardo. Invece, qualora si abbia di fronte un paziente con una storia di traumi, ulcerazioni e lesioni delle unghie atipiche, bisognerebbe sempre considerare la possibilità che si tratti di un melanoma, persino in assenza di una pigmentazione anomala». Fortunatamente l’esame delle unghie con il dermatoscopio sta diventando una pratica più comune rispetto al passato, anche se, riferiscono gli studiosi americani, le informazioni più accurate si hanno analizzando con questo dispositivo non solo la matrice delle unghie, ma anche il letto e questo richiede una procedura più invasiva. Una volta diagnosticato un melanoma in situ non sempre si sa quale sia la strategia terapeutica migliore. «In questi anni c’è stata una controversia tra chi sosteneva la necessità di un’amputazione e chi invece pensava fosse sufficiente rimuovere tutta la struttura dell’unghia e quindi procedere a un trapianto. Una recente rassegna segnala che questo secondo approccio meno drastico può essere una valida opzione. Un intervento meno invasivo è la strategia migliore anche in caso di carcinoma squamoso delle unghie» riferisce Scher.
NON SOLO ONICOMICOSI - Spesso quando le unghie hanno un aspetto sospetto, il primo pensiero va alle onicomicosi. E in effetti circa il 50 per cento delle anomalie delle unghie è causato da infezioni micotiche. «Ma un altro 50 per cento non lo è - osserva Scher -. Oggi c’è la tendenza a scambiare spesso per onicomicosi lesioni che in realtà hanno ben altra origine. Meglio dunque non essere avventati. La diagnosi differenziale, in questi casi, va fatta con tumori, psoriasi delle unghie e con condizioni che richiedono l’esecuzione di una biopsia per accertarne la causa».
INVECCHIAMENTO - Come le altre parti del corpo, anche le unghie invecchiano e i pazienti possono manifestare perplessità sul loro aspetto che magari fa apparire più vecchi della propria età anagrafica. «Invecchiando le unghie possono apparire opache e increspate. Non solo, possono diventare più spesse e difficili da tagliare - spiega Scher -. Altri segni dell’invecchiamento sono la crescita più lenta e la maggiore suscettibilità alle infezioni micotiche. Inoltre, i trattamenti possono essere più complicati a causa di un rischio maggiore di effetti indesiderati, soprattutto nel caso di terapie sistemiche con antimicotici per la possibilità di interazioni con altri medicinali che, le persone anziane assumono per curare patologie concomitanti». Che dire di gel e smalti spesso usati col tentativo di rinforzare o quanto meno abbellire le unghie? «Molti dermatologi disapprovano, ma non sussistono particolari controindicazioni a meno che siano presenti allergie ai componenti presenti in questi prodotti o altri problemi particolari. Per esempio, se è presente una psoriasi ungueale oppure se le unghie si rompono e sfaldano con facilità è meglio evitare, o quanto meno limitare, l’uso di prodotti acrilici, per dare alle unghie un po’ di riposo» conclude Scher.

mercoledì 20 marzo 2013

Sul conflitto

La fonte del conflitto (Jiddu Krishnamurti)

 

"Vi sono due tipi di apprendimento: uno consiste nel memorizzare ciò che viene imparato per poi osservare tramite la memoria - ed è questo che molti di noi chiamano apprendimento - e l'altro consiste nell'imparare attraverso l'osservazione, senza immagazzinarlo come ricordo. Per dirla in un altro modo: un modo di apprendimento è imparare qualcosa a memoria, in modo che rimanga immagazzinato nel cervello come conoscenza e successivamente agire secondo tale conoscenza abilmente o maldestramente; quando si frequenta la scuola e l'università, si accumulano molte informazioni, e in base a tale conoscenza si agisce in modo benefico per se stessi e per la società, ma si è incapaci di agire semplicemente, direttamente. L'altra specie di apprendimento - cui non si è altrettanto abituati, perché si è schiavi delle abitudini, delle tradizioni, di ogni conformismo - consiste nell'osservare senza l'accompagnamento della conoscenza pregressa, guardare qualcosa come se fosse la prima volta. Se uno osserva qualcosa in questo modo, non vi è la coltivazione della memoria; non è come quando uno osserva e tramite tale osservazione accumula il ricordo in modo che la prossima volta che l'osserva lo fa attraverso quello schema della memoria, e perciò non l'osserva più ex novo.

E' importante avere una mente che non sia costantemente occupata, costantemente intenta a chiacchierare. Per la mente non occupata, può germinare un nuovo seme, qualcosa d'interamente diverso dalla coltivazione della conoscenza e dall'azione basata su tale conoscenza.
Osservate i cieli, la bellezza delle montagne, gli alberi, la luce tra le fronde. Questa osservazione, immagazzinata nella memoria, impedirà che la prossima osservazione sia nuova. Quando uno osserva la moglie o un amico, può osservare senza l'interferenza della registrazione dei precedenti episodi di quel particolare rapporto? Se uno può osservare l'altro senza l'interferenza della conoscenza precedente, impara molto di più.

La cosa più importante è osservare: osservare e non avere una divisione tra l'osservatore e l'osservato. Generalmente vi è una divisione apparente tra l'osservatore, che è la somma totale dell'esperienza passata, in quanto memoria, e l'osservato ... così è il ,passato che osserva. La divisione tra osservatore e osservato è la fonte del conflitto.

E' possibile che non vi sia conflitto, in tutta una vita? Tradizionalmente, si accetta che debba esservi questo conflitto, questa lotta, questo dissidio perpetuo, non solo fisiologicamente, per sopravvivere, ma psicologicamente, tra desiderio e paura, simpatia e antipatia, e così via. Vivere senza conflitto è vivere una vita senza sforzo, una vita in cui vi è pace. L'uomo ha vissuto, per secoli e secoli, una vita di battaglia, di conflitti esteriori e interiori; una lotta costante per conseguire qualcosa, e la paura di perdere, di ricadere indietro. Si può parlare all'infinito di pace, ma non vi sarà pace finché si è condizionati ad accettare il conflitto. Se uno dice che è possibile vivere in pace, allora è soltanto un'idea, e perciò non ha valore. E se uno dice che non è possibile, allora blocca ogni indagine.
Esaminiamolo prima psicologicamente; è più importante che farlo fisiologicamente. Se uno comprende in profondità la natura e la struttura del conflitto, psicologicamente, e magari vi pone fine, allora può essere in grado di affrontare il fattore fisiologico. Ma se uno s'interessa solo del fattore fisiologico, biologico, per sopravvivere, allora probabilmente non ci riuscirà.

Perché vi è questo conflitto, psicologicamente? Fin dai tempi più antichi, socialmente e religiosamente, c'è sempre stata una divisione tra il bene e il male. Questa divisione esiste realmente, oppure c'è soltanto ciò che è " senza il suo contrario? Supponiamo che via sia collera questo è un fatto, " ciò che è "; ma " io non andrò in collera " è un idea, non è un fatto.
Uno non discute mai tale divisione, l'accatta perché è tradizionalista per abitudine, e non vuol saperne di qualcosa di nuovo. Ma c'è un altro fattore: c'è una divisione tra l'osservatore e l'osservato. Quando uno guarda una montagna, la guarda come osservatore e la chiama montagna. La parola non è la cosa. La parola " montagna " non è la montagna, ma per l'interessato la parola è molto importante: quando guarda, vi è istantaneamente la risposta " quella è una montagna ". Ora, uno può guardare la cosa chiamata " montagna" senza la parola, perché la parola è un fattore di divisione? Quando uno dice " mia moglie ", la parola " mia " crea divisione. La parola, il nome, la parte del pensiero. Quando uno guarda un uomo o una donna, una montagna o un albero, qualunque cosa sia, si opera una divisione quando il pensiero, il nome, il ricordo vengono posti in essere.

Uno può osservare senza l'osservatore, che è l'essenza di tutti i ricordi, le esperienze, le reazioni e così via, tutti provenienti dal passato? Se uno guarda qualcosa senza la parola e i ricordi del passato, allora osserva senza l'osservatore. Quando uno fa ciò, vi è solo l'osservato, e non vi è divisione né conflitto, psicologicamente. Uno può guardare la propria moglie o il proprio amico più intimo senza il nome, la parola e tutta l'esperienza accumulata" in quel rapporto? Quando guarda così, guarda l'altro - o l'altra - per la prima volta.
E' possibile vivere una vita completamente libera da ogni conflitto psicologico? Uno ha osservato il fatto: basterà, se lascia stare il fatto. Finché vi è divisione tra l'osservatore che crea le immagini, e il fatto - che non è immagine ma soltanto fatto - deve esserci conflitto perpetuo. E' una legge. Ma si può porre fine al conflitto.

Quando vi è la fine del conflitto psicologico - che è parte della sofferenza - allora, in che modo influisce sulla vita, sui rapporti con gli altri? In che modo la fine della lotta psicologica, con tutti i suoi conflitti, il suo dolore, le sue ansie, le sue paure, in che modo si riferisce alla vita quotidiana, al lavoro d'ufficio, eccetera eccetera? Se è un fatto che uno ha posto fine al conflitto psicologico, allora come vivrà una vita senza conflitti esteriori? Quando non vi è conflitto interiore, non vi è conflitto all'esterno, perché "non vi è divisione" tra l'interiore e l'esteriore. E come il flusso e il riflusso del mare. E' un fatto assoluto, irrevocabile, che nessuno può toccare; è inviolato. Quindi, se è così, cosa farà uno per guadagnarsi da vivere? Poiché non Vi è conflitto, non vi è ambizione. Poiché interiormente vi è qualcosa di assoluto che è inviolato, che non può essere toccato né danneggiato, allora uno non dipende psicologicamente da un altro; perciò non vi è conformismo né imitazione. Quindi, non avendo tutto questo, uno non è più pesantemente condizionato dal successo e dall'insuccesso nel mondo del denaro, della posizione, del prestigio, che implica la negazione di "ciò che è " e l'accettazione di " ciò che dovrebbe essere ".

Poiché uno nega " ciò che è " e crea l'ideale di " ciò che dovrebbe essere ", vi è conflitto. Ma osservare ciò che è effettivamente significa che uno non ha contrario, solo " ciò che è ". Se osservate la violenza e usate la parola " violenza ", c'è già conflitto, la parola stessa è già distorta; vi sono persone che approvano la violenza e altre che non l'approvano. L'intera filosofia della non violenza è distorta, politicamente e religiosamente. C'è la violenza e il suo contrario, la non violenza. Il contrario esiste perché voi conoscete la violenza. Il contrario ha radice nella violenza. Uno pensa che, avendo un contrario, con qualche metodo o mezzo straordinario, si sbarazzerà di " ciò che è ".

Ora, si può accantonare il contrario e guardare semplicemente la violenza, il fatto? La non violenza non è un fatto. La non violenza è un'idea, un concetto, una conclusione. Il fatto è la violenza: uno è in collera, odia qualcuno, vuol far male alla gente, è geloso: tutto questo è l'implicazione della violenza, che è il fatto. Ora, si può osservare il fatto senza introdurre il suo contrario? Perché allora uno ha l'energia - che prima veniva sprecata cercando di realizzare il contrario - per osservare " ciò che è ". In quell'osservazione non c'è conflitto.

Perciò, cosa farà un uomo che ha compreso questa esistenza straordinaria e complessa basata sulla violenza, il conflitto e la lotta, un uomo che ne è effettivamente libero, non teoricamente, ma effettivamente libero? Il che significa assenza di conflitto. Che cosa farà al mondo? Formulerà questa domanda, se è interiormente, psicologicamente, interamente libero da conflitti? Ovviamente no. Solo l'uomo in conflitto dice: " Se non vi è conflitto, sarò alla fine, verrò annientato dalla società perché la società è basata sul conflitto".

Se uno è consapevole della propria coscienza, che cos'è? Se è consapevole, vedrà che la sua coscienza è - in senso assoluto - nel disordine totale. E contraddittorio dire una cosa, fare qualcosa d'altro, cercando sempre qualcosa. Il movimento totale è entro un'area limitata e priva di spazio, e in quel poco spazio c'è disordine.

Uno è diverso dalla propria coscienza? Oppure è quella coscienza? quella coscienza. Allora, è consapevole di trovarsi nel disordine totale? Alla fine, quel disordine porta alla nevrosi, ovviamente: perciò ci sono tutti gli specialisti della società moderna, gli psicoanalisti, gli psicoterapeuti e così via. Ma interiormente c'è ordine? Oppure c'è disordine? Uno può osservare questo fatto? E cosa avviene quando uno osserva senza scegliere... cioè senza distorsioni? Dove c'è disordine, deve esserci conflitto. Dove c'è ordine assoluto, non c'è conflitto. E c'è un ordine assoluto, non relativo. Ciò può avvenire in modo naturale e facile, senza conflitto, solo quando uno è consapevole di se stesso quale coscienza, consapevole della confusione, del tumulto, delle contraddizioni, osservando esteriormente senza distorsione. Allora da questo deriva naturalmente, dolcemente, facilmente, un ordine irrevocabile".

mercoledì 13 marzo 2013

Sul meditare e sulla meditazione


Jiddu Krishnamurti
"...sul meditare e la
  meditazione ..."

"...se hai intenzione di meditare, non sarà meditazione ... se assumi deliberatamente un atteggiamento, una posizione, per meditare, allora la meditazione diventa un giocattolo, un trastullo della mente. Se decidi di districarti dalla confusione e dall'infelicità della vita, allora diventa un'esperienza dell'immaginazione — e questa non è meditazione. La mente conscia o la mente inconscia non debbono aver parte in essa; non devono neppure essere consapevoli dell'estensione e della bellezza della meditazione. Nella totale attenzione della meditazione non c'è alcuna conoscenza, alcun riconoscimento, né il ricordo di qualcosa che sia già avvenuta. Il tempo e il pensiero sono totalmente cessati, poiché sono il centro che limita la propria visione ... la meditazione non è la semplice esperienza di qualcosa al di là del pensiero e del sentimento di ogni giorno, né la ricerca di visioni e beatitudini ... La meditazione non è fuga dal mondo; non è un isolarsi e chiudersi in sé, ma piuttosto la comprensione del mondo e delle sue vie ... Meditare è deviare da questo mondo ... Dalla negazione nasce lo stato affermativo. Il semplice ottenere l'esperienza, o vivere nell'esperienza, nega la purezza della meditazione. La meditazione non è un mezzo per un fine ... La meditazione è la cessazione del pensiero ... Tutto ciò che il pensiero formula ha in sé il limite dei suoi confini, il pensiero ha sempre un orizzonte, la mente meditativa non ne ha, l'uno deve cessare perché l'altro possa essere. La meditazione apre la porta ad una vastità che trascende ogni immaginazione o congettura. Il pensiero è il centro intorno al quale c'è lo spazio dell'idea, e questo spazio può essere allargato da ulteriori idee. Ma tale allargamento mediante stimoli di ogni sorta non è la vastità in cui non c'è alcun centro. La meditazione è la comprensione di questo centro e quindi il suo superamento. Il silenzio e la vastità vanno insieme. L'immensità del silenzio è l'immensità della mente in cui non esiste un centro. La percezione di questo spazio-silenzio non procede dal pensiero. Il pensiero percepisce soltanto la sua proiezione, e il riconoscimento di essa è il suo confine ... La meditazione non è un'attività dell''isolamento, ma l'azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità ed intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la meditazione diventa una fuga e non ha alcun valore. Una vita retta non è l'obbedienza alla morale sociale, ma la libertà dall'invidia, dalla cupidigia e dalla ricerca del potere — che generano inimicizia. La libertà da questi mali non passa attraverso la consapevolezza che di essi si acquista mediante l'autoconoscenza. Senza conoscere le attività del sé la meditazione diviene esaltazione dei sensi e perde ogni significato ... La meditazione non è una continuazione o una espansione dell'esperienza. La meditazione, al contrario, è quella completa inazione che è la cessazione di tutta l'esperienza. L'azione dell'esperienza ha le sue radici nel passato ... la meditazione è lo svuotarsi dell'esperienza, è la totale inazione che proviene dalla mente che vede ciò che è, senza l'ostacolo del passato né del testimone che vive legato alla memoria del passato ... Se non c'è meditazione, sei come un cieco in un mondo di grande bellezza, luci e colori ... Meditare non è ripetere parole, sperimentare visioni o coltivare il silenzio. Questa è una forma di autoipnosi. Meditare non è chiudersi in un pensiero ideale, nell'incanto del piacere. Se tu dici: "Oggi comincerò a controllare i miei pensieri, a sedere quieto nella posizione del meditare, a respirare regolarmente" — allora sei preso nei trucchi con cui inganniamo noi stessi. La meditazione non è l'essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa ... La mente meditativa è vedere, osservare, ascoltare senza la parola, senza commento, senza opinione — attentamente e costantemente — il movimento della vita in ogni suo rapporto; allora sopraggiunge un silenzio che è negazione del pensiero, un silenzio che l'osservatore non può richiamare. Se ne facesse esperienza, riconoscendolo, non sarebbe quel silenzio. Il silenzio della mente meditativa non è nei confini dell'individuabilità, e non ha frontiere ... Una piccola mente squallida e immatura può avere, ed ha, visioni ed esperienze che riconosce secondo il proprio condizionamento ... La meditazione non appartiene a gente come questa, né ai guru. Non è per il cercatore, perché costui trova ciò che vuole, e il conforto che ne deriva è la morale delle sue paure. Per quanto faccia, l'uomo di credenza o di dogma non può entrare nel regno della meditazione. La meditazione necessita della libertà — che è totale negazione della morale e dei condizionamenti sociali — la libertà viene prima della meditazione, ne rappresenta il primo movimento. Non è una pratica pubblica dove in molti si uniscono e offrono preghiere. Sta a sé ed è sempre al di là dei confini della condotta sociale. Infatti la verità non è nelle cose del pensiero o in ciò che il pensiero ha costruito e chiama verità. La negazione totale di questa struttura del pensiero è la realtà della meditazione. La meditazione è un movimento incessante. Non si può mai dire che si sta meditando, o dedicare un periodo di tempo alla meditazione. La meditazione non è ai tuoi ordini. La sua benedizione non ti viene perché conduci una vita per così dire sistematizzata o segui una particolare routine o morale. Viene solo quando il tuo cuore è veramente aperto. Non aperto dalla chiave del pensiero, non reso sicuro dall'intelletto, ma quando è aperto come il cielo senza nuvole; allora viene senza che tu lo sappia, senza che tu la chiami. Ma non puoi mai custodirla, possederla, adorarla. Se cercherai di farlo, non verrà più, ti eviterà. Nella meditazione tu non sei importante, non occupi un posto; la sua bellezza non sei tu, la sua bellezza è in sé. E non puoi aggiungervi nulla. Non devi spiare dalla finestra sperando di prenderla di sorpresa, né sederti in una stanza buia ed attenderla; viene soltanto quando tu non sei là, e la sua benedizione non ha continuità..."

mercoledì 13 febbraio 2013

Buon San Valentino

Ho scritto il tuo nome sulla sabbia ma vennero le onde a cancellarlo. 
Lo scrissi di nuovo ma venne la marea a distruggere la mia fatica. 
Lei mi disse, perchè tenti d'immortalare una cosa mortale? 
Io stessa sparirò allo stesso modo, e persino il mio nome sarà cancellato dal tempo. 
No, gli dissi, lascia che siano le piccole cose a morire, tu invece vivrai per sempre le mie parole scriveranno nel cielo il tuo nome . 
E nel cielo, mentre la morte abbatterà il mondo intero, vivrà il nostro amore

E. Spenser 

mercoledì 16 gennaio 2013

Poesie per pensare

Scritto sulla sabbia

Che il bello e l’incantevole
siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d’artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.

E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d’oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell’anima.
No, il bello più profondo e degno dell’amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d’aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d’ali d’uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.


Herman Hesse

lunedì 7 gennaio 2013